giovedì 12 gennaio 2012

L’eroico champignon

Sugo per pasta con funghi, barbe di finocchio e mascarpone 




Può un fungo essere definito eroico?
A mio parere sì, come nel caso dello champignon (o prataiolo che dir si voglia) che, tutti gli anni, si ostina a spuntare tra la ghiaia del giardino della casa di Rivoli, superando l’ostacolo di una terra durissima e compatta, dove nel medioevo c’era la cava della terra per la fornace di mattoni dei frati della vicina pieve di San Martino dei Campi, di cui rimane come sola vestigia un diroccato campanile romanico tra le antiche, verdi, strade pre napoleoniche di terra battuta.

Lui, imperterrito, ogni anno rompe la dura barriera di arida terra, solleva le pietre della ghiaietta del viale ed emerge – talvolta un po’ acciaccato, ma non per questo meno spavaldo - allargando tra le pietre polverose la sua cappella. E, come tutti gli anni, lo raccolgo, un po’ per il piacere di mangiare qualcosa proveniente dalla propria terra, un po’ per non lasciarlo in balia di insetti e uccelli, dandogli non so se più degna, ma sicuramente più raffinata, sepoltura.

In effetti la questione riguardante l’essenza e la relativa capacità di provare sensazioni o emozioni del mondo vegetale rimane tuttora aperta.
Se è vero che le piante di pomodoro amano la musica di Mozart producendo maggiori frutti, come alcuni studi sembrano dimostrare, chi può dire che non possano provare sofferenza una volta che le si separa dai loro frutti o le si pota? O quello che provano paragonabile al taglio di unghie e capelli degli umani?
Può una carota soffrire per essere stata sradicata dalla terra?
È vero, come scrive Margherite Yourcenar in Memorie di Adriano, che non ci rendiamo conto della sofferenza del modo vegetale perché, come appartenenti al modo animale, riusciamo a comprendere la sofferenza solo quando applicata ad esseri appartenenti al nostro genere?

L'induismo, che crede nella reincarnazione, ha così risolto il problema; in Un gusto superioreBhaktivedanta Swami Prabhuprda sostiene che sì, è importante mangiare per vivere, ma che, provando anche il mondo vegetale sensazioni e sofferenza, non bisogna comunque eccedere nell'alimentazione, mangiando solo il necessario per assicurarsi la sopravvivenza (in verità parla anche di una preventiva offerta rituale del cibo alla divinità prima di consumarlo).

Personalmente credo che bisogni aver cura di quanto ci viene offerto, utilizzando tutto e evitando, per quanto possibile, inutili sprechi.
Così, avendo comprato dei finocchi con annesse barbe, ossia la parte verde dei germogli che abitualmente non viene utilizzata, ho pensato di unirle al fungo nella preparazione di un condimento per pasta.

Uno spicchio d’aglio
Funghi champignon
Olio evo
Barbe di finocchio
Panna (o mascarpone, o ricotta cremosa, come mi trovavo a disposizione; panna di soia per i vegani)
Sale e pepe q.b.

In una padella fare rosolare a fuoco lento in un cucchiaio di olio evo lo spicchio d’aglio tagliato a fettine sottili; dopo due minuti aggiungere gli champignon tagliati a fettine per il lungo; lasciare insaporire i funghi per circa 5 minuti e spegnere il fuoco; aggiungere al composto freddo un cucchiaio o due di mascarpone (o panna, o ricotta) e le barbe di finocchio sminuzzate finemente; usare il sugo – meglio se freddo, per evitare che la pasta assorba subito tutto l’olio e il sugo diventi troppo asciutto – per condire la pasta.

Abbinamento consigliato: tagliatelle, possibilmente paglia e fieno…
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